Siamo già a settembre ed è arrivato il momento di vedere cosa ci riserva il mese nel calendario che ho deciso di "sfogliare" quest'anno: gli arazzi con il Ciclo dei mesi, attualmente conservati al Castello Sforzesco di Milano.
I dodici grandi arazzi furono commissionati, agli inizi del Cinquecento, dall'allora governatore di Milano Gian Giacomo Trivulzio ed eseguiti dalla manifattura di Vigevano su disegno di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (1465 ca-1530).
Ecco, dunque, come appare, tessuto nei colori variopinti dell'arazzo, il mese di settembre di cinque secoli fa:
La scena, in gran parte danneggiata e restaurata, è inquadrata, come al solito, da una cornice con gli stemmi dei Trivulzio e delle famiglie ad essi imparentate ed è sormontata, al centro, dal grande stemma dei Trivulzio.
A sinistra, compare la raffigurazione del Sole, mentre a destra, i segni zodiacali del mese, Scorpione (al posto della Vergine) e Bilancia, sono fusi in un'unica rappresentazione.
Come negli altri arazzi del ciclo, al centro in basso, nella parte anteriore del basamento, si legge un'iscrizione che descrive le caratteristiche del mese: "September uvas ut coquit/vina et parat dat aucuopi/ gratas voluptates bona/ et mensium recolligit: settembre, come fa maturare le uva, così prepara anche i vini, dà all'uccellatore gradite soddisfazioni e raccoglie i buoni frutti di mesi”.
In un'epoca ancora legata ai tempi e ai ritmi delle attività agricole, il protagonista del mese non può essere che il vino.
In effetti, la personificazione di Settembre come un giovane nudo con i sandali rossi, grappoli d’uva in testa e i fianchi cinti da un ramo di vite richiama le antiche rappresentazioni del dio Bacco.
Non bastasse, tutta la scena è dominata, da un gigantesco torchio vinario di legno, lo strumento indispensabile per la spremitura dell'uva, che, nell'interpretazione di Bramantino, diventa un'enorme struttura architettonica collocata in una sorta di piazza con un pavimento a scacchi variopinti.
Al centro, la grande vite del torchio è fatta ruotare da quattro improbabili contadini vestiti con corte tuniche all'antica.
Anche in secondo piano sono rappresentate attività legate alla produzione del vino.
L'uva arriva, a sinistra, caricata su un carro guidato da buoi ed è fatta defluire, attraverso uno scivolo, dentro una grande vasca.
A destra, alcuni giovani, sporchi del rosso del mosto, si occupano della pigiatura del vino e delle botti.
Alle due estremità, invece, sono seduti una donna e un uomo in abiti signorili: lei tiene in mano un grappolo d'uva, mentre lui regge un falco addestrato per la caccia.
Anche se l'arazzo è rovinato e alterato, proprio nella figura maschile, l'ipotesi è che si tratti del committente della serie, Gian Giacomo Trivulzio e della moglie Beatrice d'Avalos.
All'epoca, in effetti, non è raro, che i nobili signori assistano a una delle occupazioni agricole più importanti dell'anno.
La vendemmia e la pigiatura del mosto coinvolgono tutti e, generalmente, finiscono con una delle poche feste, in cui i contadini possono riposare dalla fatica quotidiana e rallegrarsi che il vino nuovo possa essere un segno di abbondanza e di prosperità.
La vendemmia e la pigiatura del mosto coinvolgono tutti e, generalmente, finiscono con una delle poche feste, in cui i contadini possono riposare dalla fatica quotidiana e rallegrarsi che il vino nuovo possa essere un segno di abbondanza e di prosperità.
Un approfondimento delle vicende storiche e dell'iconografia degli arazzi è in G.Agosti e J.Stoppa, I Mesi del Bramantino, ed. Officina libraria 2012